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L’Ortottista puo’ instillare un collirio farmacologico?

Immagine del redattore: Three DomThree Dom

A cura di Dylan Vella, Ortottista


Definizione di Farmaco

Viene definito farmaco “ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane” e, di conseguenza, “ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica”.

 

Da questa definizione si deduce che :

Un collirio contenente ciclopentolato allo 0.5% o 1% sia un farmaco somministrabile utile a stabilire una diagnosi medica.

 

Medicinali soggetti a prescrizione medica

 

I medicinali sono soggetti a prescrizione medica quando:

 

• possono presentare un pericolo, direttamente o indirettamente,

anche in condizioni normali di utilizzazione, se sono impiegati

senza controllo medico;

• sono utilizzati spesso, e ampiamente, in modo non corretto e, di

conseguenza, con rischio di un pericolo diretto o indiretto per la

salute;

• contengono sostanze o preparazioni di sostanze la cui attività

o le cui reazioni avverse richiedono ulteriori indagini;

 

In questo caso la confezione dei medicinali deve riportare la

dicitura “Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica”.

 

Un collirio contenente ciclopentolato allo 0.5% o 1% viene venduto dietro esclusiva presentazione di ricetta medica.

 

 

 

MEDICINALI UTILIZZABILI ESCLUSIVAMENTE

DALLO SPECIALISTA

I medicinali utilizzabili esclusivamente dallo specialista in ambulatorio

sono quelli che, per loro caratteristiche farmacologiche e modalità di impiego, sono destinati a essere impiegati direttamente dallo specialista durante la visita ambulatoriale.

Sulla confezione devono riportare le frasi “Uso riservato a...”, con

specifica dello specialista autorizzato, e “Vietata la vendita al pubblico”.

 

Poiché sulla confezione di un collirio contenente ciclopentolato allo 0.5% o 1% riporta la dicitura “Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica” si deduce che l’acquisto non è esclusivo del medico specialista oftalmologo.

 

Gli attori della Somministrazione

 

La somministrazione dei farmaci è in genere un atto professionale sanitario.

In questo paragrafo ci si occuperà della somministrazione dei farmaci come atto professionale sanitario.

Essa compete generalmente agli infermieri (i somministratori professionali più frequenti).

 

Tradizionalmente, l’infermiere è da sempre la figura che si occupa di somministrazione dei farmaci in modo professionale.

È una figura, però, che negli ultimi decenni ha subito importanti

trasformazioni che l’hanno coinvolta sia nel modo di formarsi – le vecchie scuole sono state chiuse nella metà degli anni Novanta dello scorso secolo e oggi l’infermiere si forma all’interno della facoltà di medicina, con un vero e proprio corso di laurea – sia nelle norme di esercizio professionale vero e proprio.

Si è passati da un infermiere che agiva per autorizzazione mansionariale, costituita da un’elencazione contenuta all’interno di una fonte normativa, a un sistema di esercizio professionale più maturo, costituito da un complesso di norme contenute in due leggi ordinarie dello Stato: la Legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizione in materia di professioni sanitarie” e la Legge 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione,

della prevenzione, nonché della professione ostetrica”.

 

In questa sede è di particolare interesse l’analisi approfondita

della Legge 42/1999, che ha introdotto una logica completamente diversa rispetto alla tradizione mansionariale.

Anziché un’elencazione di atti “consentita” all’infermiere, sono stati introdotti tre criteri guida e due criteri limite.

I criteri guida sono costituiti dal contenuto dei decreti ministeriali istitutivi dei profili professionali (il riferimento attuale è il D.M. 14 settembre 1994, n. 739), dal criterio della “formazione ricevuta” dall’infermiere, che viene determinato dall’analisi degli ordinamenti didattici dei corsi di diploma universitario (oggi di laurea) e dai corsi di formazione “post-base”, e dalle indicazioni contenute all’interno del codice deontologico della Federazione dei Collegi IPASVI (Federazione Nazionale Collegi Infermieri professionali, Assistenti Sanitari, Vigilatrici d’infanzia.)

A tale proposito, si riporta testualmente l’art. 1 della Legge

42/1999:

“Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’art. 6, comma 3, del D.L. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base, nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”.

La legge sottolinea l’esistenza di un “campo proprio”, quindi esclusivo dell’infermiere, che determina anche un campo di “responsabilità”.

Si precisa che è la prima volta che una legge ordinaria dello Stato attribuisce alla professione infermieristica un “campo proprio di attività”.

La tradizionale bipartizione novecentesca delle professioni sanitarie in “principali” e “ausiliarie” rendeva di fatto impossibile la definizione di un campo esclusivo dell’infermiere.

I due criteri limite previsti dalla Legge 42/1999 sono determinati

dalle “competenze previste per le professioni mediche” e per le altre figure sanitarie laureate.

 

Si concentrerà l’attenzione sul limite delle competenze previste dalla professione medica.

La migliore dottrina giuridica e medico-legale ha analizzato il termine competenza che, come è noto, non ha un significato univoco nella lingua italiana.

Competenza può infatti significare compito, attività che si è tenuti a svolgere, oppure può significare “capacità”, “abilità”, “conoscenza”.

Nel primo caso un’attività è medica soltanto quando viene attribuita al medico da apposita fonte normativa, legislativa o regolamentare.

Nel secondo caso un’attività è medica quando solamente le capacità, le conoscenze, il curriculum e la formazione di un medico sono in grado di porla in essere o è medica quell’attività tesa a risolvere i problemi di salute di una persona soltanto con l’intervento medico.

La declinazione di attività come compito non porta lontano.

Il nostro legislatore da sempre è ben distante dall’individuare definizioni generali dell’attività medica.

Ben più rispondente alle finalità della Legge 42/1999 è, invece, la declinazione di attività come capacità.

 

In seguito alle riforme determinate dall’esercizio professionale

affrontate nel paragrafo precedente, assume primaria importanza il “profilo professionale” recepito con il decreto del Ministero della sanità del 14 marzo 1994, n. 739, il quale stabilisce, al terzo comma dell’art. 1, che compete all’infermiere la “corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche”.

Si registra un ulteriore passo verso l’autonomia dell’infermiere, che deve agire non soltanto dietro prescrizione, bensì rendendosi garante della “corretta applicazione”.

Deve essere specificato come, oggi, gli infermieri non abbiano

più il completo monopolio delle attività di somministrazione;

in parte per la nascita di nuove figure, in parte perché determinate attività, quando si presentano di semplice esecuzione e non necessitano di particolare discrezionalità, non possono essere considerate esclusivamente infermieristiche.

Si pensi, in particolare, alla somministrazione per via orale, intramuscolare e sottocutanea soprattutto in determinati contesti e in determinati pazienti.

La Suprema Corte di cassazione ha assolto dall’imputazione di esercizio abusivo di professione infermieristica un operatore che aveva somministrato fenobarbital “dal momento che tale medicinale non necessita di particolare abilità infermieristica, potendo anche essere autosomministrato”; anche le attività collaterali alla somministrazione

di questo farmaco – il fenobarbital è uno stupefacente e di conseguenza è soggetto alle attività di carico e scarico sull’apposito registro – non possono essere considerate esclusive della professione infermieristica. Precisa la Cassazione “…il collegio non può esimersi dall’osservare che, indipendentemente dalla natura e dalla finalità che può rivestire l’annotazione su registro dell’avvenuta somministrazione del farmaco, una simile attività non richiede particolari requisiti di competenza tecnica tipici della professione di infermiere.

L’annotazione a registro è poi un’attività susseguente alla somministrazione del farmaco e a essa condizionata.

Ora, non sembra rispondente a canoni logici pretendere che essa sia effettuata da infermieri professionali, a cui tuttavia non è riservato alcun

compito esclusivo per la somministrazione del farmaco, compito che – esso solo – potrebbe assicurare l’effettività di un controllo sulle modalità, sui tempi e sulla correttezza della somministrazione”.

 

Da cio’ si deduce che anche altre figure professionali qualificate ed istruite, quali lo sono gli ortottisti, possono somministrare un farmaco.

 

Le competenze del medico

 

Il medico è una figura di antica tradizione e per secoli è stata l’unica reale figura sanitaria, l’unico vero professionista sanitario.

È una figura professionale che in genere non conosce particolari

limitazioni giuridiche, se non quelle legate alla propria professionalità e alle proprie conoscenze.

Di conseguenza, un medico, oltre che essere prescrittore, può essere somministratore.

La normativa di limitazione all’esercizio professionale si riferisce ad altri professionisti – per la parte che riguarda il presente lavoro, infermieri e ostetriche –, non ai medici.

Infatti, la Suprema Corte di cassazione ha specificato che tale normativa

“si riferisce ai non laureati e non al medico, che in quanto titolare della laurea in medicina e chirurgia è abilitato a esplicare assistenza sanitaria in funzione di prevenzione, diagnosi, e cura” ed è abilitato, di conseguenza, a effettuare qualsivoglia tipo di terapia.

 

Non vi sono motivazioni normative che possono escludere di per sé la somministrazione dei farmaci da parte di infermieri, se non per stretti motivi professionali.

Un atto è medico soltanto quando è necessaria la professionalità di un medico per compiere tale tipo di atto.

Le norme sull’esercizio professionale oggi sono chiare e hanno abolito, come visto in precedenza, le vecchie limitazioni mansionariali.

Diverso è il caso della mancanza di prescrizione, che ben può configurare l’esercizio abusivo della professione medica.

 

Da cio’ si deduce che in ogni caso la somministrazione di un farmaco deve essere legittimata dalla prescrizione di un medico.

 

Norme generali sulla somministrazione dei farmaci

Le precondizioni per addivenire a una somministrazione di farmaci sono due:

l’acquisizione del consenso del paziente previa un’adeguata informazione (il cosiddetto consenso informato) e la prescrizione medica.

 

La responsabilità per la somministrazione di farmaci

Pur essendo unitario, è possibile scomporre, da un punto di vista giuridico, l’atto di somministrazione della terapia in due distinti

momenti: l’atto di prescrizione, di competenza medica, e

l’atto di somministrazione, di competenza infermieristica.

Se questi due momenti vengono tenuti distinti, l’infermiere risponderà

soltanto degli errori legati alla somministrazione.

In caso contrario, potranno essergli contestati atti istituzionalmente di

responsabilità medica.

 

Conclusioni

 

Considerando il Decreto 14 settembre 1994, n. 743

 

1.      E'      individuata      la      figura       professionale

dell'ortottista-assistente di oftalmologia con il  seguente  profilo:

l'ortottista-assistente di oftalmologia e' l'operatore sanitario che,

in possesso del diploma universitario abilitante  e  su  prescrizione

del medico, tratta i disturbi motori e sensoriali  della  visione  ed

effettua le tecniche di semeiologia strumentale-oftalmologica.

 

3. L'ortottista-assistente di oftalmologia svolge la sua  attivita'
professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in  regime
di dipendenza o libero-professionale. 
 

Considerando che la rilevazione della rifrazione oggettiva in cicloplegia è una tecnica semeiologica strumentale-oftalmologica e che la stessa implica l’uso di colliri ad azione cicloplegica.

 

Si deduce che l’ortottista su prescrizione/indicazione del medico possa instillare colliri al fine di eseguire tecniche di semeiologia di propria competenza.




 

 RIFLESSIONE

 

Il medico oculista esegue una visita oculistica, sospetta un’ambliopia e richiede una valutazione ortottica.

L’ortottista esegue la valutazione ortottica, conferma il sospetto diagnostico e procede con una riabilitazione visiva.

L’esame rifrattivo in cicloplegia e la prescrizione ottica fanno parte della riabilitazione visiva.

La riabilitazione visiva è una responsabilità dell’ortottista.

Eseguire bene una rifrazione oggettiva in cicloplegia e prescrivere un occhiale sono prerogativa del successo terapeutico.

Se queste azioni venissero eseguite dal medico oculista verrebbe meno la responsabilità dell’ortottista, poiché un errore commesso dal medico vanificherebbe il successo della riabilitazione visiva.

 

La soluzione risulta quindi logica.

 

Il medico oculista riceve il paziente, pone la diagnosi e lo rimanda all’ortottista per una diagnosi differenziale.

L’ortottista pone la diagnosi differenziale e tratta la condizione.

I due professionisti collaborano periodicamente al fine di tenersi aggiornati sul processo di guarigione.

 

Cio’ puo’ verificarsi nella stessa struttura o in due strutture diverse.

Il medico oculista e l’ortottista possono lavorare con una collaborazione di dipendenza, generalmente il medico oculista ingaggia nella propria struttura l’ortottista, oppure con una collaborazione interdipendente, ciascuno in autonomia sinergica.


Fonte :

L. Benci “La prescrizione e la somministrazione dei farmaci : Responsabilità giuridica e deontologica” 2014

 
 
 

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