La crisi silenziosa dell’oculistica pediatrica in Italia: il nodo economico che condiziona la prevenzione visiva
- Three Dom
- 11 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Autore: Dott. Dylan Vella | Ortottista
Nel sistema sanitario italiano, la sopravvivenza di un reparto non dipende solo dalla qualità delle cure, ma anche dal bilancio economico che ogni Unità Operativa deve garantire.
Il dirigente responsabile di un reparto ospedaliero — inclusa l’Oftalmologia — è tenuto a mantenere i conti in equilibrio, assicurando che il valore delle prestazioni erogate sia proporzionato ai rimborsi riconosciuti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Questo meccanismo, apparentemente neutro, ha però una conseguenza diretta e poco discussa: le branche a basso rimborso rischiano di diventare invisibili, anche quando rivestono un ruolo fondamentale sul piano preventivo e sociale. È il caso dell’oculistica pediatrica e della riabilitazione visiva.
Prestazioni necessarie ma poco sostenibili
Le visite ortottiche, lo studio della motilità oculare e la riabilitazione per ambliopia o strabismo sono attività centrali per la salute visiva dei bambini.
Nonostante ciò, i rimborsi riconosciuti dal SSN per queste prestazioni sono modesti: in alcune regioni si attestano su poche decine di euro, valori che non coprono il tempo, le competenze e le risorse necessarie a un esame completo.
Le Aziende Sanitarie e Ospedaliere, dovendo mantenere il bilancio in attivo, tendono a privilegiare le prestazioni più remunerative, come interventi chirurgici, iniezioni intravitreali o visite specialistiche ad alta produttività.
Di conseguenza, gli spazi dedicati all’età evolutiva vengono progressivamente ridotti o accorpati, con liste d’attesa sempre più lunghe e una minore disponibilità di personale dedicato.
Un modello che penalizza la prevenzione
Il paradosso è evidente: le prestazioni ortottiche e pediatriche sono quelle che prevenendo un danno permanente (come l’ambliopia) eviterebbero in futuro costi sociali ed economici molto più alti.
Eppure, nell’attuale logica contabile, non producono valore immediato per la struttura sanitaria.
Il sistema tariffario nazionale, infatti, non distingue in modo adeguato tra una visita oculistica per adulto e una valutazione ortottica complessa in età pediatrica.
Anche se esistono voci specifiche nel nomenclatore (“visita ortottica”, “studio della motilità oculare”), i relativi rimborsi regionali sono talmente bassi che molti reparti preferiscono limitare l’offerta di queste prestazioni o affidarle al privato convenzionato.
Il ruolo dell’ortottista nel percorso pediatrico
In questo contesto, l'ortottista rappresenta la figura chiave per garantire continuità e qualità assistenziale. È il professionista che valuta la motilità oculare, rileva segni precoci di ambliopia, imposta la terapia occlusiva e segue il bambino nel percorso riabilitativo.
Nonostante la sua centralità clinica, l’attività ortottica viene valorizzata poco sul piano economico e spesso resta subordinata alla disponibilità organizzativa della struttura.
Molti ortottisti, anche motivati e competenti, si trovano così a dover scegliere tra la continuità nel pubblico e la sostenibilità del lavoro nel privato, dove il costo della seduta deve restare accessibile alle famiglie.
Effetti sulla formazione e sull’offerta territoriale
La conseguenza di questo squilibrio economico è duplice:
Sempre meno professionisti scelgono di dedicarsi stabilmente all’oculistica pediatrica o alla riabilitazione visiva.
Le differenze territoriali aumentano: in alcune regioni del Sud o nelle province minori, trovare un servizio ortottico pediatrico pubblico è sempre più difficile.
A lungo termine, ciò rischia di trasformarsi in un problema di salute pubblica: diagnosi tardive, trattamenti interrotti e un aumento delle disuguaglianze nell’accesso alla cura.
Ripensare il valore della prevenzione visiva
Per invertire questa tendenza, servirebbe una revisione del sistema tariffario che riconosca:
la specificità delle prestazioni pediatriche e ortottiche;
la complessità del tempo dedicato alla valutazione e al dialogo con il bambino e la famiglia;
l’impatto preventivo di tali attività sul futuro visivo e sociale del paziente.
In parallelo, sarebbe utile promuovere progetti di screening scolastico e territoriale, in collaborazione tra oculisti, ortottisti e amministrazioni locali, affinché la prevenzione diventi una voce di valore, non una spesa marginale.
Conclusione
L’oculistica pediatrica italiana non soffre di mancanza di competenze, ma di una struttura economica che ne limita la sopravvivenza.
Finché le prestazioni preventive e riabilitative verranno rimborsate a tariffe inadeguate, continueranno a essere considerate “servizi di vocazione”, sostenuti più dalla passione dei professionisti che da un sistema equo.
Riconoscere il giusto valore economico all’attività ortottica e pediatrica non è un privilegio di categoria, ma un investimento nella salute visiva delle generazioni future.







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